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Non siamo più una startup

Non siamo più una startup

By on Lug 7, 2016 in Blog, Filosofia aziendale

We are not a unicorn. Luckily.Il 29 Giugno del 2011, con un po’ di incoscienza e l’idea di un futuro luminoso ma ancora un po’ nebuloso, nasceva ufficialmente Nemoris.

Nella nostra mente si trattava della nostra aziendina, non una startup. Ci abbiamo messo i nostri sudati risparmi e tanto lavoro, una cosa classica insomma, un’aziendina come tante.

Un’azienda che avrebbe fatto software innovativo, a quanto pareva. Il fatto poi che questo software fosse notevolmente originale e noi ci circondassimo dell’aura di startup in realtà era abbastanza casuale. Eravamo abituate a cercare la soluzione migliore alle soluzioni, e se le cose vecchie non funzionavano bisognava pensarne di nuove.

Noi sapevamo scrivere software e che il nostro prodotto fosse così diverso da tutti gli altri è venuto probabilmente dal fatto che volevamo operare in campo documentale pur venendo da un altro settore. La nostra continua domanda era: “Ma perché si fa tutto in modo così macchinoso? Non c’è un modo di automatizzare il processo? Ma davvero lavorate tutti così”?

E dato che non avevamo pregiudizi, abbiamo pensato che anche se altri non lo facevano, noi avremmo creato questo software perché, scusate, era proprio proprio una buona idea.

Questo ha fatto di noi una startup, nell’accezione che aveva in Italia nel 2011, ossia un’azienda neonata che sviluppava prodotti innovativi.

Siamo partiti con un prototipo che classificava automaticamente alcuni dati dei documenti legali, una promessa di contratto, un business plan che ci ha fatto imparare molto ma abbiamo disatteso immediatamente e tanta gente che ci incoraggiava.

Nei primi anni è successo di tutto. Da questo punto di vista siamo stati in tutto e per tutto una startup, con repentini pivot, riscritture complete del codice e la fatica di piazzare un prodotto che ancora aveva poche funzionalità, anche se assolutamente innovative. Abbiamo fatto molti errori e provato in continuazione le nostre ipotesi.

Abbiamo ricevuto ridicole offerte di acquisto e conosciuto moltissima gente interessante che ci ha arricchito professionalmente. Gli errori sono stati utili, insieme ai buoni consigli e al supporto di chi aveva esperienza nel fare impresa, e abbiamo imparato tanto.

Con quell’idea in mente, automatizzare l’acquisizione dei documenti e renderla intelligente, abbiamo provato diverse strade e mercati. Ci sono stati all’inizio gli avvocati, ma abbiamo fatto sperimentazioni anche nel campo delle analisi cliniche, dei trasporti e nell’immobiliare. Alla fine la risposta maggiore l’abbiamo avuta dal settore culturale e dell’HR. E già, anche in questo siamo stati in tutto e per tutto una startup, alla ricerca frenetica del famoso product-market fit.

Nel 2013 nasce invece la sezione del registro delle imprese per le startup innovative. Si poteva essere startup innovativa se si rispondeva a certi criteri, in cui noi comunque ci riconoscevamo, per 5 anni dalla nascita.

Ci siamo iscritti: ora eravamo ufficialmente una startup.

Dietro il nome di startup ci sono tanti sottintesi: grandi potenzialità, ma anche prodotti che funzionano appena, quote aziendali che cambiano, la necessità di crescere a tutti i costi a scapito della qualità della vita tua e dei tuoi collaboratori,  valutazioni non realistiche, decisioni da prendere solo in ottica finanziaria, gli occhi puntati addosso in attesa di chissà quali fuochi d’artificio.

Abbiamo sbandierato questo nome, orgogliosi, soprattutto perché voleva dire innovazione. Ma tanto l’innovazione l’avremmo fatta comunque, anche se non ci fossimo chiamati startup, per quell’idea iniziale che il software documentale si poteva fare in modo diverso e tutti ne avrebbero tratto beneficio.

Nonostante tutto il battage pubblicitario al contorno, in Italia presentarsi come una startup non è un vantaggio. Abbiamo percepito nel raccontarci che l’innovazione è considerata meno importante della solidità e alla fine sulla bilancia a parità di costo un prodotto lento e macchinoso di un’azienda decennale pesava di più di un prodotto semplice da usare che avrebbe fatto risparmiare tempo e denaro di una azienda neonata.

Alla fine, chi ha comprato i nostri prodotti e le nostre personalizzazioni l’ha fatto perché si fidava di noi come persone, delle nostre capacità e della nostra serietà.

I cinque anni sono finiti il 29 Giugno di quest’anno. Ufficialmente quindi, abbiamo smesso di essere startup. Probabilmente è giusto, a prescindere dal significato della definizione. Adesso abbiamo Opus, un prodotto definito, nuovo, per certi versi strabiliante, che davvero aiuta chi si occupa di selezione, specialmente se lo fa in mezzo a mille altre incombenze.

Alcune cose non sono cambiate affatto da quando lavoravamo in cucina la notte per completare il prototipo. I nostri obiettivi iniziali, ad esempio. Erano chiari, anche se molto semplici, e sono gli stessi dopo cinque anni:

  1. Creare un prodotto che fosse utile, possibilmente molto utile, anche se solo per una nicchia ristretta.
  2. Nel farlo, utilizzare le tecnologie migliori e più innovative, e quindi divertirci e continuare a imparare.
  3. Essere un’azienda economicamente sana.
  4. Riuscire a dare lavoro ad altri.

In questo senso non siamo mai stati una startup. Non avevamo un pitch pronto per gli investitori e non avevamo progetti di invasione del mondo con il nostro software.

Poca ambizione? Può darsi.

Ma non era il nostro obiettivo e non cambia il fatto che sentiamo di aver creato valore comportandoci così: per noi, per il nostri clienti e per i nostri collaboratori.

Operiamo in un campo, quello dell’analisi del testo e del machine learning, in fortissima crescita e sviluppiamo continuamente algoritmi per rendere Opus più intelligente. Abbiamo un piano di sviluppo intensissimo, per renderlo il migliore sul mercato non solo sull’analisi dei CV ma per tutto il processo di gestione delle risorse umane.

Ma nessun cliente dovrà attendere che ne facciamo un prodotto vero, perché non si tratta solo di un prototipo. Non siamo più una startup. Opus è utilizzato ora da varie aziende ed ha tutte funzionalità sufficienti da far risparmiare tanto lavoro inutile in fase di recruiting. E a Settembre uscirà una nuova versione, adatta anche a chi fa selezione conto terzi.

Il cuore di Opus, Nexus, viene usato in un fantastico progetto europeo in un campo che ci sta particolarmente a cuore, i beni culturali. È un progetto di grande respiro, estremamente stimolante e che potrebbe portare nuovi sviluppi sul versante dei beni culturali.

Questi due filoni sono per noi ugualmente importanti. Da un lato sviluppare gli algoritmi per Nexus, il core del software, ci aiuta a rendere Opus migliore, dall’altro essere a contatto con clienti che usano giornalmente una personalizzazione di Nexus ci aiuta a focalizzarci sull’usabilità anche su grandi progetti che durano anni.

Avremmo fatto prima o meglio cercando finanziamenti e puntando tanto sulla crescita? Forse, ma nel processo abbiamo imparato tanto, siamo stati a stretto contatto con i nostri clienti valutando e maturando ogni nuova feature, ogni nuovo sviluppo, ed è su questo che ci siamo focalizzati. E secondo noi si vede nei nostri prodotti.

Ora Nexus e Opus sono progetti avviati e sul mercato. Devono crescere, certo, ma sono decisamente usciti dalla fase di MVP. Come Nemoris, che forse non scalerà fino a diventare un unicorno, ma poco male, perché i suoi obiettivi di crescita sostenibile li sta raggiungendo.

Come Nemoris.

Che non è più una startup.

E meno male.

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